Viviamo una realtà complessa. Molteplici fattori impattano sulla nostra vita e ne condizionano giornalmente scelte e decisioni. Su alcuni di quei fattori siamo in grado di esercitare un’influenza diretta, altre volte indiretta, in altri casi ancora non li percepiamo neppure e ne vediamo solo gli effetti.
Nel campo degli affari, del business, dove gli interessi si intrecciano, si sovrappongono e creano interconnessioni spazio-temporali a noi spesso sconosciute e dove i rapporti di competizione tra organizzazioni si moltiplicano e vincoli di costi, tempi e qualità, pongono barriere e limiti importanti, si è spesso esposti a quel tipo di effetti: essere in grado di prendere le giuste decisioni, in tempi rapidi, fa la differenza tra il successo e il fallimento.
Di fronte a una tale molteplicità di circostanze, non tutti i leader a capo di quelle organizzazioni, riescono a raggiungere i risultati attesi, in quanto è loro richiesta una capacità decisionale poliedrica, articolata, che non tutti possiedono.
E’ richiesta straordinaria varietà di pensiero, di comportamento, di leadership, di comunicazione.
L’essere umano, partendo da un’assunzione errata, predilige il pensiero lineare e coerente: ipotizza infatti che il mondo sia governato da un certo livello di predicibilità e ordine.
Da qui la sua tendenza a riutilizzare approcci classici, usuali, conosciuti, che bene hanno funzionato in passato: ottimi rimedi per determinate situazioni, ma pessime scelte in altri casi.
Il successo delle nostre azioni, quindi, dipende fortemente dal contesto di riferimento in cui si sta operando. Come scegliere, allora, quale stile decisionale utilizzare? Come riconoscere l’ambito in cui si sta operando e, di conseguenza, essere in grado di scegliere il giusto approccio?
E ancora, come permettere ai decision maker di vedere le cose da nuovi punti di vista? Come aiutarli a muoversi opportunamente in contesti regolati da un ordine (semplici e complicati) così come in altri non predicibili a priori (complessi e caotici)? Un aiuto concreto arriva da un framework decisionale, il Cynefin framework di Dave Snowden, accademico gallese, consulente e ricercatore nel campo delle scienze cognitive.
Diversi tipi di sistemi
Prima di conoscere e approfondire il Cynefin framework, è bene capire le distinzioni dei diversi tipi di sistemi, contesti, cui ci relazioniamo giornalmente. Un aiuto nella loro interpretazione arriva dalla matrice di Stacey, messa a punto da Ralph Douglas Stacey, professore di Management alla Hertfordshire Business School, dell’Università di Hertfordshire, in Gran Bretagna.
L’asse X della matrice (certainty) rappresenta la certezza, ripetibilità di comportamento del sistema in analisi: vicino alla certezza (close) nella parte sinistra, lontana (far) nella parte più estrema a destra.
L’asse Y (agreement) rappresenta il grado di accordo che il gruppo di persone, team, organizzazioni coinvolte nell’analisi, raggiunge rispetto al comportamento di quel sistema: forte accordo nella parte bassa vicino all’incrocio con l’asse X, debole, se non inesistente, nella parte opposta.
In un sistema sistema semplice, il rapporto tra causa ed effetto è chiaro e anche a seguito di input diversi, i risultati attesi sono certi, predicibili; c’è inoltre accordo riguardo al suo funzionamento.
Un programma di calcolo delle rate di un prestito, è un esempio di sistema semplice.
Se ci si allontana in maniera sensibile sull’asse della certezza (X) oppure sull’asse dell’accordo (Y), troviamo l’area dei sistemi complicati.
Sistemi dei quali non si riesce facilmente a comprenderne il funzionamento, ma una volta decomposti in sotto-parti e a seguito di analisi, comprendendone le proprietà dei singoli componenti e le sottostanti regole di relazione, si arriva a capirne l’obiettivo finale e il suo funzionamento complessivo.
Una Ferrari, è un esempio di sistema complicato.
Quando ci allontaniamo contemporaneamente su entrambi gli assi X e Y (poca certezza e fragile accordo), troviamo il regno dei sistemi complessi.
Questo sistema non può essere compreso a seguito di scomposizione e analisi delle sotto-parti, in quanto non si riescono a individuare e circoscrivere con chiarezza tutte le sue componenti e le relazioni tra esse. In aggiunta, il comportamento delle singole parti può non avere sempre lo stesso effetto sulla rete dei suoi collegamenti: il rapporto tra causa ed effetto non è chiaro e riconoscibile a priori.
Le diverse componenti costituenti agiscono e comunicano in maniera indipendente, autonoma, e ne influenzano il comportamento finale, in maniera impredicibile.
Gli obiettivi, la finalità dei comportamenti di quei sistemi è interpretabile solo a posteriori, in retrospettiva, a seguito di un’ispezione.
La foresta Amazzonica, è un esempio di sistema complesso. Un ecosistema, dove la comunità di piante, animali, microbi, in relazione tra loro e agli elementi terra, aria e acqua, si condizionano reciprocamente in ogni istante, attraverso comportamenti e feedback reciproci.
Infine, in presenza di grossa incertezza e forte disaccordo nel comprendere il funzionamento di un sistema, quando cioè non esiste alcuna relazione tra causa ed effetto, nemmeno in retrospettiva, ci si trova di fronte ad un sistema caotico.
Un sistema in cui è necessaria una stabilizzazione dei fattori critici, prima di poter comprendere quali azioni, comportamenti e approcci siano opportuni.
E’ necessario, però, sottolineare che un aspetto decisamente positivo di questi sistemi, è il fatto che stimolino la nascita di intuizioni, soluzioni, nuove pratiche. New York City, a seguito dell’attacco delle torri gemelle dell’11 Settembre 2001, è un esempio di sistema caotico.
Il framework Cynefin
La parola gallese Cynefin vuole significare l’impatto che molteplici fattori hanno sui contesti e le esperienze che viviamo.
Tali fattori influenzano le nostre vite in modalità che possiamo anche non capire.
Snowden, rilanciando quanto predicato da Stacey, ha sintetizzato per quei sistemi approcci e strumenti opportuni.
Sistemi semplici
Come descritto precedentemente questi sistemi sono caratterizzati da un rapporto diretto tra causa ed effetto. Sono domini stabili, nei quali il ripetersi di eventi simili tra loro, limita l’impatto dei cambiamenti che sono comunque ridotti e non ne alterano l’equilibrio sostanziale.
Sono contesti in cui è possibile applicare BEST PRACTICES: approcci, metodologie, strumenti maturati nel tempo e che portano sempre a risultati ottimali.
L’approccio decisionale migliore da utilizzare è sintetizzabile in SENSE > CATEGORISE > RESPOND (percepire/sentire, categorizzare e rispondere).
La presenza di un problema in questi contesti, è facilmente indirizzabile dai decision maker, in quanto è facile capire la situazione, identificarne la sua natura, scegliere il miglior approccio e infine agire in accordo ad esso.
Approcci COMMAND AND CONTROL sono validi, non è necessaria grossa comunicazione e la delega è molto efficace grazie alla chiarezza e linearità dei compiti da svolgere e alla disponibilità di strumenti dedicati.
Attenzione però agli eccessi di semplificazione che potrebbero portare ad un errata categorizzazione del problema. Inoltre, data la facilità nell’operare in questi contesti è da evitare la tendenza al compiacimento, all’appagamento, che potrebbero portare ad un calo di attenzione e ad un possibile ritardo di reazione.
Sistemi complicati
Approcciare a sistemi di questo tipo è più arduo data la varietà delle componenti che ne fanno parte e alla possibilità che esistano molteplici “giuste” soluzioni. Siamo comunque in presenza di un sistema statico ma che cela il suo funzionamento dietro ad una molteplicità di ingranaggi e relazioni.
Solo un’attenta analisi può svelarne i segreti ed aiutare a prendere le giuste decisioni. E’ il campo degli esperti, i quali possono esaminarne le componenti e fornire indicazioni precise. In questi ambiti è possibile applicare le GOOD PRACTICES, (buone pratiche), che offrono meno certezze rispetto alle precedenti e non sempre assicurano risultati eccellenti.
Il pattern decisionale di riferimento è SENSE > ANALYSE > RESPOND (percepire/sentire, analizzare, rispondere), che ha tempi più lunghi a causa della fase di analisi, ma che una volta assestata porterà comunque a buona predicibilità e stabilità decisionale.
E’ necessario però fare attenzione ai rischi derivanti dal dipendere dal giudizio degli esperti che, come tali, tendono ad avere un pensiero condizionato da anni di applicazione e studio e non sempre disposti ad ascoltare obiettivamente il parere degli altri.
Questo potrebbe portare ad ignorare intuizioni di persone meno esperte, chiudendo le porte a innovazione e novità. E’ necessario quindi creare spazi in cui queste persone possano liberamente, e magari anonimamente, fornire idee, soluzioni (forum, caselle di posta elettronica dedicate, ecc.).
Sistemi complessi
I contesti in cui si esprime la complessità, sono ambiti in continuo movimento, flusso, dinamismo.
Stimoli e sollecitazioni remoti, per esempio, potrebbero scatenare anche importanti locali reazioni. E’ in quest’area che ruotano molti degli affari dei nostri giorni ed è quindi rilevante, per un leader, conoscere come operarvi.
Non esiste predicibilità di comportamento alcuna, neanche a seguito di un’analisi della situazione, in quanto non si è in grado di circoscrivere il sistema, data la molteplicità di agenti, livelli, relazioni che vi ci operano.
Si deve agire adottando il modello PROBE > SENSE > RESPOND (sondare/indagare, percepire/sentire, rispondere).
E’ necessario scomporre la complessità in parti più piccole, e su ognuna fare delle ipotesi, lavorare per iterazioni, sperimentare, sondare.
I risultati, poi, potranno essere ispezionati per validarne le ipotesi di partenza e procedere oltre.
Per i leader è essenziale l’agilità e buone doti di adattabilità comportamentale.
E’ necessaria pazienza, permettere alle realtà di rivelarsi, alle soluzioni di emergere.
Dovranno, inoltre, decentralizzare parte delle decisioni, le più frequenti, che richiedono velocità e che non hanno influenze su economie di scala.
Dovranno delegare quelle decisioni a team, gruppi di lavoro, esperti, che meglio possono carpire l’emergente, rispondendo celermente e approntando soluzioni efficaci, anche prototipali, ma in tempi rapidi.
Dovranno invece continuare a centralizzare tutte le altre decisioni, quelle che hanno importanti economie di scala.
In questi ambiti i rischi maggiori derivano dall’impazienza, dalla decisione di utilizzare approcci, qui, sterili di comando e controllo, nella speranza di sbloccare la situazione.
Inoltre, data la forte necessità di sperimentazione, un grosso limite è dato dall’incapacità di quei leader di accettare l’errore dei collaboratori, bloccandone creatività e pro-attività.
Sistemi caotici
Infine l’ultimo dei sistemi da tenere in considerazione è quello caotico.
E’ un contesto in cui regna la turbolenza, un costante cambiamento di status, eventi, dove non esiste un ordine, nessuna relazione tra causa ed effetto. In questi casi è necessario innanzitutto stabilizzare la situazione, dovranno essere prese molte decisioni e in tempi rapidissimi, cercando di passare dal caos alla complessità.
Sono necessarie forte leadership, capacità di azione, capacità di comunicare in maniera chiara e diretta. E’ bene ricordare che in questo ambito si celano le migliori opportunità di innovazione. E’ quindi indicato creare team che lavorino parallelamente alla stabilizzazione della crisi, per cercare nuove soluzioni, opportunità e alternative.
Tornando ad osservare la matrice del Cynefin framework, Snowden fa riflettere su due ulteriori aree. La prima è rappresentata come un ricciolo che divide il quadrante in basso a destra (obvious, semplice) da quello in basso a sinistra (caotico).
Quel segno grafico è come un promemoria che vuole ricordare che anche in presenza di sistemi semplici e qualora si sotto-stimassero le situazioni, si desse troppo spazio al compiacimento o si procedesse ad eccessiva semplificazione, si potrebbe facilmente “scivolare” nel regno del caos.
E, infine, per tutto quello che non è inquadrabile in nessuna delle aree sopra descritte, Snowden ha previsto l’area centrale, del disordine, nella quale sembrano non esistere pattern decisionali, bensì solo l’imperativo della sopravvivenza.
A cura di Emiliano Soldi, Agile & Lean Coach @ Inspearit http://it.linkedin.com/in/emilianosoldi
Articolo pubblicato sulla rivista Leadership & Management – Gennaio/Febbraio 2015